sabato 8 giugno 2013

Professorin e rettrice


Finora mi sono sempre occupato di neologismi. Oggi mi occupo piuttosto del cambiamento di significato di parole che esistono già, o più precisamente di slittamento di genere. Casualmente, nello stesso giorno, infatti, una collega dell'Università dell'Aquila ha comunicato su Facebook che nella sua università alla carica di rettore era stata nominata una donna, e io ho scoperto, da questo articolo di Repubblica, che all'Università di Lipsia, dove il rettore era già una donna, si è cercata di imporre la forma suffissata femminile per tutti i ruoli accademici, e quindi Professorin, Assistentin, Rektorin, etc. (almeno stando agli esempi riportati da Repubblica). D'altra parte, in Germania sono abituati da diversi anni ad avere una Kanzlerin. Purtroppo, il mio tedesco non mi permette di capire bene cosa ne dicono i giornali tedeschi, e soprattutto se Professorin, quando è riferito a un professore mantenga il genere femminile o possa essere usato al maschile. 
Le questioni linguistiche legate al genere sono spinose, e ritornano spesso nelle discussioni sull'uso, soprattutto burocratico della lingua. Basti pensare ai vari dibattiti intorno alle ministre, sindache, magistrate che appaiono regolarmente sulla stampa. Almeno in Italia, mi sembra che la preferenza vada alle forme che possono essere trasformate al femminile semplicemente con l'aggiunta di una -a (perciò sindaca o avvocata e non sindachessa e avvocatessa), a meno che non siano già da tempo nell'uso, come dottoressa o professoressa. Questo almeno è quello che raccomandano le Linee guida per l'uso del genere nel linguaggio amministrativo, edite a cura dell'Accademia della Crusca. Il manualetto in questione propone anche di sostituire con -a la -e finale dei nomi in -sore (quindi, assessora, difensora), e di usare -trice per quelli in -tore. Quella dell'Aquila sarebbe quindi una rettrice. La cosa strana è che in Italia sembra prevalere l'idea che l'aggiunta di un suffisso (come -essa) rende la parola più marcata, e quindi meno preferibile rispetto al semplice cambio di genere e classe (da -o/-e a -a). In Germania, invece, si propone di estendere la forma marcata da un suffisso anche al maschile (come se noi dicessimo il professoresso o il rettricio). Apparentemente, il suffisso -in in tedesco è sentito come abbastanza neutro, e non ha, a differenza di quello che immaginavo, nessun senso diminutivo o vezzeggiativo. Deriva infatti da un suffisso antico germanico -innja che non ha niente a che vedere con il diminutivo latino. La confluenza tra femminile e diminutivo è comune in molte lingue, soprattutto romanze, un po' per ragioni strutturali, ad esempio la somiglianza tra il diminutivo latino e il suffisso greco -ῑνη (quello di eroina, ad esempio), e probabilmente anche per ragioni ideologiche (si pensi, in italiano, alle suffragette, alle crocerossine o, più recentemente, alle olgettine). 

Nessun commento:

Posta un commento