martedì 11 giugno 2013

datagate


Lo scandalo che sta travolgendo in questi giorni l'amministrazione Obama, in seguito alle rivelazioni del Guardian, è stato ribattezzato datagate. Il blog Terminologia etc. fa notare come la parola in questione, anche se costruita con elementi originariamente inglesi, è a tutti gli effetti una creazione italiana. Se, infatti, cerchiamo datagate su Google la quasi totalità delle prime pagine che otteniamo sono pagine di giornali italiani, e, ancora più sorprendente, quando si cerca la parola "datagate" sul sito del Guardian non si ottiene alcuna risposta. Leggermente più usata sembra essere, in inglese, la forma Prismgate, ma anche in questo caso non la si trova usata in nessun grande mezzo di comunicazione anglofono. Compare, invece, in qualche tweet anglofono o comunque in usi individuali. PRISM è il nome con cui lo scandalo è noto negli Usa e negli altri paesi anglofoni, e corrisponde al nome in codice attribuito dal governo statunitense al programma di spionaggio che è all'origine dello scandalo. Nelle attestazioni che ho trovato in inglese, sia di datagate che di prismgate, la sequenza finale sembra riferirsi al significato letterale di 'portale', 'cancello', ad esempio in nomi commerciali.
Il blog Terminologia etc. si chiede quale sia l'origine dell'italiano datagate. La rivelazione dello scandalo da parte dei giornali americani e britannici risale al 6 giugno scorso. Già l'indomani datagate compariva nei titoli di diversi quotidiani italiani (ad esempio la Repubblica). Ovviamente, è difficile stabilire con esattezza chi l'abbia usata per primo, ma, in particolare grazie a Twitter, possiamo cercare di abbozzare una mini-diacronia della parola. Compare, ad esempio, in un lancio dell'Ansa del 7 giugno (alle 10,02), anche se la primissima ad averla usata sembra essere la Stampa, ad esempio in questo tweet del giornalista Marco Bardazzi che si chiede quale, tra data-gate, web-gate e prism-gate, sia la denominazione più appropriata per lo scandalo (facendo riferimento anche al suffissoide -leaks). Sta di fatto che oggi, cinque giorni dopo, quando si cerca datagate (solo in italiano) su Google si trovano già più di un milione di pagine.
Quanto alla forma di questa parola, non è certamente la prima ad essere costruita interamente in italiano con materiale inglese. Nel sito di neologismi della Treccani, ad esempio, si trovano forme come baby-boss o baby-bomber che sono certamente italiane (bomber, poi, in inglese non ha neanche il significato calcistico di 'cannoniere'). E' interessante, però, che con -gate, che pure è disponibile con parole italiane, si sia scelto di usare la base inglese data. Da una parte, certamente, c'è il fatto che la parola si riferisce a un fenomeno statunitense (e anch'io, se non fosse stato per il blog citato, avrei giurato che fosse stata coniata in ambito anglofono), dall'altra che -gate, in quanto elemento non autonomo di origine inglese, mantiene quest'ultimo tratto, almeno come sfumatura, e preferisce legarsi, se possibile, a parole inglesi, così come i prefissoidi o suffissoidi greci o latini prediligono, quando esistono, le varianti colte delle parole a cui si legano (come in germanofilo o anglofono, per intenderci).

sabato 8 giugno 2013

Professorin e rettrice


Finora mi sono sempre occupato di neologismi. Oggi mi occupo piuttosto del cambiamento di significato di parole che esistono già, o più precisamente di slittamento di genere. Casualmente, nello stesso giorno, infatti, una collega dell'Università dell'Aquila ha comunicato su Facebook che nella sua università alla carica di rettore era stata nominata una donna, e io ho scoperto, da questo articolo di Repubblica, che all'Università di Lipsia, dove il rettore era già una donna, si è cercata di imporre la forma suffissata femminile per tutti i ruoli accademici, e quindi Professorin, Assistentin, Rektorin, etc. (almeno stando agli esempi riportati da Repubblica). D'altra parte, in Germania sono abituati da diversi anni ad avere una Kanzlerin. Purtroppo, il mio tedesco non mi permette di capire bene cosa ne dicono i giornali tedeschi, e soprattutto se Professorin, quando è riferito a un professore mantenga il genere femminile o possa essere usato al maschile. 
Le questioni linguistiche legate al genere sono spinose, e ritornano spesso nelle discussioni sull'uso, soprattutto burocratico della lingua. Basti pensare ai vari dibattiti intorno alle ministre, sindache, magistrate che appaiono regolarmente sulla stampa. Almeno in Italia, mi sembra che la preferenza vada alle forme che possono essere trasformate al femminile semplicemente con l'aggiunta di una -a (perciò sindaca o avvocata e non sindachessa e avvocatessa), a meno che non siano già da tempo nell'uso, come dottoressa o professoressa. Questo almeno è quello che raccomandano le Linee guida per l'uso del genere nel linguaggio amministrativo, edite a cura dell'Accademia della Crusca. Il manualetto in questione propone anche di sostituire con -a la -e finale dei nomi in -sore (quindi, assessora, difensora), e di usare -trice per quelli in -tore. Quella dell'Aquila sarebbe quindi una rettrice. La cosa strana è che in Italia sembra prevalere l'idea che l'aggiunta di un suffisso (come -essa) rende la parola più marcata, e quindi meno preferibile rispetto al semplice cambio di genere e classe (da -o/-e a -a). In Germania, invece, si propone di estendere la forma marcata da un suffisso anche al maschile (come se noi dicessimo il professoresso o il rettricio). Apparentemente, il suffisso -in in tedesco è sentito come abbastanza neutro, e non ha, a differenza di quello che immaginavo, nessun senso diminutivo o vezzeggiativo. Deriva infatti da un suffisso antico germanico -innja che non ha niente a che vedere con il diminutivo latino. La confluenza tra femminile e diminutivo è comune in molte lingue, soprattutto romanze, un po' per ragioni strutturali, ad esempio la somiglianza tra il diminutivo latino e il suffisso greco -ῑνη (quello di eroina, ad esempio), e probabilmente anche per ragioni ideologiche (si pensi, in italiano, alle suffragette, alle crocerossine o, più recentemente, alle olgettine). 

lunedì 3 giugno 2013

svapare, vape, vapoter


Sabato su Le Figaro c'era, complice anche il dibattito francese sul divieto di usare le sigarette elettroniche nei locali pubblici, un articoletto sul nuovo verbo francese vapoter, che significa, appunto, fumare una sigaretta elettronica che, come è noto, emette vapore anziché fumo (l'articoletto è ripreso nel blog dell'autore, Etienne de Montety). Lo stesso testo contiene anche i derivati vapoteur (fumatore di sigarette elettroniche) e vapotage (l'atto di vapoter): 
Sitôt son vapotage terminé, le vapoteur va ranger son e-clope dans sa poche, sans avoir besoin d'e-cendrier.
[Appena finito il suo vapotage, il vapoteur sistema la sua e-sigaretta in tasca, senza aver bisogno di e-posacenere; clope è la versione in argot di sigaretta]
In italiano lo stesso concetto si dice svapare e l'atto relativo è lo svapo (così come il fumo è l'atto del fumare), anche se, da quello che intuisco, molti svapatori preferiscono dire semplicemente che fumano una sigaretta elettronica.
Le sigarette elettroniche provengono dalla Cina (dove, per la cronaca, vengono chiamate ruyan 'sembra fumo'), e sono arrivate nel resto del mondo nel 2007. Immagino, perciò, che, in maniera poco sorprendente, il prototipo di tutti questi verbi è to vape. Secondo questo sito la prima attestazione in inglese risalirebbe al dicembre 2007, mentre per l'italiano svapare le prime attestazioni che ho trovato sono del 2009 (ad esempio qui).
Naturalmente, in tutte le lingue citate, la parola base è vapore, ossia la sostanza che esce dalle e-sigarette, e la cosa curiosa è che in tutti i casi la parola è ridotta, in particolare con l'eliminazione del suffisso -ore e dei suoi corrispondenti. Immagino che ci possano essere varie spiegazioni per questo, ad esempio il fatto che il suffisso può essere percepito come la marca di una parola derivata (per rimanere all'inglese, il vapor sarebbe quindi il risultato del vaping), ma anche il fatto che vaping e smoking hanno la stessa lunghezza in termini di sillabe. Bisogna poi notare che sia in italiano che in francese il nuovo verbo ricalcato dall'inglese presenta qualche particolarità bizzarra. In italiano in prefisso s- (immagino in senso intensivo, quello di sbandierare per intenderci), che riesco difficilmente a spiegarmi; in francese, si sarebbe potuto vaper, che sarebbe assomigliato a fumer. Anche qui non so benissimo perché i francesi abbiano scelto invece un'altra forma, se non, da una parte, il fatto che aggiungere una t è una strategia corrente per creare dei verbi (ad esempio 'mandare un SMS', che in francese è texto, si dice textoter), e dall'altra che, come ricorda l'autore dell'articoletto che citavo all'inizio, crapoter, in argot, significa fumare senza respirare il fumo.