martedì 11 giugno 2013

datagate


Lo scandalo che sta travolgendo in questi giorni l'amministrazione Obama, in seguito alle rivelazioni del Guardian, è stato ribattezzato datagate. Il blog Terminologia etc. fa notare come la parola in questione, anche se costruita con elementi originariamente inglesi, è a tutti gli effetti una creazione italiana. Se, infatti, cerchiamo datagate su Google la quasi totalità delle prime pagine che otteniamo sono pagine di giornali italiani, e, ancora più sorprendente, quando si cerca la parola "datagate" sul sito del Guardian non si ottiene alcuna risposta. Leggermente più usata sembra essere, in inglese, la forma Prismgate, ma anche in questo caso non la si trova usata in nessun grande mezzo di comunicazione anglofono. Compare, invece, in qualche tweet anglofono o comunque in usi individuali. PRISM è il nome con cui lo scandalo è noto negli Usa e negli altri paesi anglofoni, e corrisponde al nome in codice attribuito dal governo statunitense al programma di spionaggio che è all'origine dello scandalo. Nelle attestazioni che ho trovato in inglese, sia di datagate che di prismgate, la sequenza finale sembra riferirsi al significato letterale di 'portale', 'cancello', ad esempio in nomi commerciali.
Il blog Terminologia etc. si chiede quale sia l'origine dell'italiano datagate. La rivelazione dello scandalo da parte dei giornali americani e britannici risale al 6 giugno scorso. Già l'indomani datagate compariva nei titoli di diversi quotidiani italiani (ad esempio la Repubblica). Ovviamente, è difficile stabilire con esattezza chi l'abbia usata per primo, ma, in particolare grazie a Twitter, possiamo cercare di abbozzare una mini-diacronia della parola. Compare, ad esempio, in un lancio dell'Ansa del 7 giugno (alle 10,02), anche se la primissima ad averla usata sembra essere la Stampa, ad esempio in questo tweet del giornalista Marco Bardazzi che si chiede quale, tra data-gate, web-gate e prism-gate, sia la denominazione più appropriata per lo scandalo (facendo riferimento anche al suffissoide -leaks). Sta di fatto che oggi, cinque giorni dopo, quando si cerca datagate (solo in italiano) su Google si trovano già più di un milione di pagine.
Quanto alla forma di questa parola, non è certamente la prima ad essere costruita interamente in italiano con materiale inglese. Nel sito di neologismi della Treccani, ad esempio, si trovano forme come baby-boss o baby-bomber che sono certamente italiane (bomber, poi, in inglese non ha neanche il significato calcistico di 'cannoniere'). E' interessante, però, che con -gate, che pure è disponibile con parole italiane, si sia scelto di usare la base inglese data. Da una parte, certamente, c'è il fatto che la parola si riferisce a un fenomeno statunitense (e anch'io, se non fosse stato per il blog citato, avrei giurato che fosse stata coniata in ambito anglofono), dall'altra che -gate, in quanto elemento non autonomo di origine inglese, mantiene quest'ultimo tratto, almeno come sfumatura, e preferisce legarsi, se possibile, a parole inglesi, così come i prefissoidi o suffissoidi greci o latini prediligono, quando esistono, le varianti colte delle parole a cui si legano (come in germanofilo o anglofono, per intenderci).

sabato 8 giugno 2013

Professorin e rettrice


Finora mi sono sempre occupato di neologismi. Oggi mi occupo piuttosto del cambiamento di significato di parole che esistono già, o più precisamente di slittamento di genere. Casualmente, nello stesso giorno, infatti, una collega dell'Università dell'Aquila ha comunicato su Facebook che nella sua università alla carica di rettore era stata nominata una donna, e io ho scoperto, da questo articolo di Repubblica, che all'Università di Lipsia, dove il rettore era già una donna, si è cercata di imporre la forma suffissata femminile per tutti i ruoli accademici, e quindi Professorin, Assistentin, Rektorin, etc. (almeno stando agli esempi riportati da Repubblica). D'altra parte, in Germania sono abituati da diversi anni ad avere una Kanzlerin. Purtroppo, il mio tedesco non mi permette di capire bene cosa ne dicono i giornali tedeschi, e soprattutto se Professorin, quando è riferito a un professore mantenga il genere femminile o possa essere usato al maschile. 
Le questioni linguistiche legate al genere sono spinose, e ritornano spesso nelle discussioni sull'uso, soprattutto burocratico della lingua. Basti pensare ai vari dibattiti intorno alle ministre, sindache, magistrate che appaiono regolarmente sulla stampa. Almeno in Italia, mi sembra che la preferenza vada alle forme che possono essere trasformate al femminile semplicemente con l'aggiunta di una -a (perciò sindaca o avvocata e non sindachessa e avvocatessa), a meno che non siano già da tempo nell'uso, come dottoressa o professoressa. Questo almeno è quello che raccomandano le Linee guida per l'uso del genere nel linguaggio amministrativo, edite a cura dell'Accademia della Crusca. Il manualetto in questione propone anche di sostituire con -a la -e finale dei nomi in -sore (quindi, assessora, difensora), e di usare -trice per quelli in -tore. Quella dell'Aquila sarebbe quindi una rettrice. La cosa strana è che in Italia sembra prevalere l'idea che l'aggiunta di un suffisso (come -essa) rende la parola più marcata, e quindi meno preferibile rispetto al semplice cambio di genere e classe (da -o/-e a -a). In Germania, invece, si propone di estendere la forma marcata da un suffisso anche al maschile (come se noi dicessimo il professoresso o il rettricio). Apparentemente, il suffisso -in in tedesco è sentito come abbastanza neutro, e non ha, a differenza di quello che immaginavo, nessun senso diminutivo o vezzeggiativo. Deriva infatti da un suffisso antico germanico -innja che non ha niente a che vedere con il diminutivo latino. La confluenza tra femminile e diminutivo è comune in molte lingue, soprattutto romanze, un po' per ragioni strutturali, ad esempio la somiglianza tra il diminutivo latino e il suffisso greco -ῑνη (quello di eroina, ad esempio), e probabilmente anche per ragioni ideologiche (si pensi, in italiano, alle suffragette, alle crocerossine o, più recentemente, alle olgettine). 

lunedì 3 giugno 2013

svapare, vape, vapoter


Sabato su Le Figaro c'era, complice anche il dibattito francese sul divieto di usare le sigarette elettroniche nei locali pubblici, un articoletto sul nuovo verbo francese vapoter, che significa, appunto, fumare una sigaretta elettronica che, come è noto, emette vapore anziché fumo (l'articoletto è ripreso nel blog dell'autore, Etienne de Montety). Lo stesso testo contiene anche i derivati vapoteur (fumatore di sigarette elettroniche) e vapotage (l'atto di vapoter): 
Sitôt son vapotage terminé, le vapoteur va ranger son e-clope dans sa poche, sans avoir besoin d'e-cendrier.
[Appena finito il suo vapotage, il vapoteur sistema la sua e-sigaretta in tasca, senza aver bisogno di e-posacenere; clope è la versione in argot di sigaretta]
In italiano lo stesso concetto si dice svapare e l'atto relativo è lo svapo (così come il fumo è l'atto del fumare), anche se, da quello che intuisco, molti svapatori preferiscono dire semplicemente che fumano una sigaretta elettronica.
Le sigarette elettroniche provengono dalla Cina (dove, per la cronaca, vengono chiamate ruyan 'sembra fumo'), e sono arrivate nel resto del mondo nel 2007. Immagino, perciò, che, in maniera poco sorprendente, il prototipo di tutti questi verbi è to vape. Secondo questo sito la prima attestazione in inglese risalirebbe al dicembre 2007, mentre per l'italiano svapare le prime attestazioni che ho trovato sono del 2009 (ad esempio qui).
Naturalmente, in tutte le lingue citate, la parola base è vapore, ossia la sostanza che esce dalle e-sigarette, e la cosa curiosa è che in tutti i casi la parola è ridotta, in particolare con l'eliminazione del suffisso -ore e dei suoi corrispondenti. Immagino che ci possano essere varie spiegazioni per questo, ad esempio il fatto che il suffisso può essere percepito come la marca di una parola derivata (per rimanere all'inglese, il vapor sarebbe quindi il risultato del vaping), ma anche il fatto che vaping e smoking hanno la stessa lunghezza in termini di sillabe. Bisogna poi notare che sia in italiano che in francese il nuovo verbo ricalcato dall'inglese presenta qualche particolarità bizzarra. In italiano in prefisso s- (immagino in senso intensivo, quello di sbandierare per intenderci), che riesco difficilmente a spiegarmi; in francese, si sarebbe potuto vaper, che sarebbe assomigliato a fumer. Anche qui non so benissimo perché i francesi abbiano scelto invece un'altra forma, se non, da una parte, il fatto che aggiungere una t è una strategia corrente per creare dei verbi (ad esempio 'mandare un SMS', che in francese è texto, si dice textoter), e dall'altra che, come ricorda l'autore dell'articoletto che citavo all'inizio, crapoter, in argot, significa fumare senza respirare il fumo.

domenica 26 maggio 2013

Porcellinum


Negli ultimi giorni si è parlato molto del Porcellinum, ossia la versione modificata del Porcellum che il Governo si appresta a far discutere in Parlamento. Solo nell'ultima settimana Google News registra 658 attestazioni della parola. Del Porcellum, e dei suoi simili, avevo già parlato qualche settimana fa. Naturalmente, per ora, più del contenuto della legge, ancora oscuro, mi interessa la parola che la designa. Visto il significato (una versione edulcorata della legge elettorale in questione), Porcellinum è chiaramente un diminutivo di Porcellum. Che io sappia, però, è un rarissimo caso, in italiano, di diminutivo in cui il suffisso non è attaccato alla fine della radice, ma in mezzo. Se guardiamo le altre parole latine (o pseudo-tali, come Porcellum), che finiscono in -um o anche in -us, infatti, le strategie per creare dei diminutivi (ma anche degli accrescitivi o qualsiasi altro tipo di derivati) sono due: attaccare il suffisso direttamente alla fine della parola (e infatti per me albumino o autobussino sono assolutamente normali, ma su Google ho trovato anche cactus(s)ino, rebus(s)ino, referendumino o vademecumino), oppure eliminare le sequenze - che in latino corrispondevano alle desinenze del nominativo singolare - -um e -us, 'italianizzando', per così dire, il derivato. Così, sempre su Google troviamo diversi esempi di referendino, memorandino, e anche qualche cactino… Quest'ultima strategia, poi, è quella usata di preferenza nell'italiano più normativo, in cui si dice referendario, virale o juventino. E indica che nella nostra lingua le sequenze in questione, se non corrispondono ovviamente più ad alcuna terminazione flessiva, sono comunque sentite come quasi-desinenze, o comunque hanno uno status intermedio tra una desinenza vera e propria (come -o o -a, ad esempio) e una sequenza che fa parte di una radice. Segnalo, tra l'altro, che in spagnolo hanno più o meno lo stesso problema con le parole singolari o invariabili che finiscono in -s (che normalmente è la desinenza del plurale). In questo caso la soluzione prescelta è identica a quella che ha dato vita a Porcellinum, si inserisce il suffisso diminutivo all'interno della radice, per cui si ha lejitos dall'avverbio lejos ('lontano') e Luquitas dal nome proprio Lucas
Ma ritorniamo al nostro Porcellinum. Pensandoci, quella prescelta è in realtà l'unica opzione per dare un diminutivo accettabile a Porcellum. Eliminare semplicemente la sequenza finale -um, infatti, darebbe un diminutivo identico alla parola porcellino già esistente in italiano, mentre porcellumino sarebbe, da una parte, assai lunga, e dall'altra mancherebbe di quel suffisso -um che, come ho già osservato, è indispensabile per designare il nome di una legge elettorale. Il fatto, poi, che porcellino esista indipendentemente in italiano come diminutivo di porcello, ossia la base di Porcellum, non fa che motivare ulteriormente il suo diminutivo. E per finire, segnalo anche che questa strategia di formazione di diminutivi di Porcellum ha dato vita, almeno, anche a Porcellonum e a Porcellettum.

domenica 12 maggio 2013

egoseum


Da un articolo apparso nei blog dell'Espresso apprendo la nascita di un nuovo fenomeno, e di conseguenza di una nuova parola. Si tratta dell'ego-seum, in pratica un museo privato in cui un ricco collezionista d'arte espone al pubblico la sua collezione. The Guardian descrive così il fenomeno:
"I collezionisti acquistano massicciamente così tante opere contemporanee che le loro diverse case sono insufficienti per conservarle tutte. Ma piuttosto che abbandonare le loro costose eccedenze in magazzini nascosti, scelgono di condividere i loro tesori con il pubblico". In quanto ultimo status symbol per i super-ricchi, i musei privati possiedono addirittura una nuova etichetta: "ego-seums".
In italiano la parola è praticamente inesistente (le uniche citazioni che si ricavano da Google riguardano l'articolo dell'Espresso e pochi altri articoli di giornale). In inglese, invece, si trova qualche centinaio di attestazioni. Si tratta, ovviamente, di una parola-macedonia (o, visto che si tratta di inglese, di un blend) tra le parole ego e museum. Come parola-macedonia è un po' particolare, dal momento che le due parole che la compongono non sono legate in corrispondenza di una sequenza fonologica comune (come la o di smoke e fog in smog, per intenderci). E' il fenomeno per cui una sequenza, per vari motivi, viene reinterpretata come uno pseudo-affisso - in questo caso uno pseudo-suffisso - e che ha dato vita, ad esempio, alla finale -burger per vari tipi di panini a partire dal prototipo hamburger, ma anche, in tempi più remoti, alla finale -bus per un veicolo di trasporto pubblico, a partire dal prototipo omnibus (originariamente il dativo plurale di omnis 'tutto'). Che io sappia, l'inglese -seum, o l'italiano -seo, non era ancora emerso come suffissoide per indicare un museo, e quest'ultima parola mi sembra piuttosto inadatta, vista la sua brevità, ad essere segmentata. In realtà, anche museo (o il corrispettivo nelle altre lingue europee) è una parola composta, visto che in latino museum (a sua volta derivato dal greco) designava un santuario delle Muse, e conteneva il suffisso -eum. Immagino che il motivo per cui si trovano molti più esempi di ego-seum scritto con un trattino sia dovuto alla necessità di mettere in evidenza le due parole di base, e in particolare museum. A favorire l'unione ci può essere stato il fatto che sia ego che museum sono di origine classica (anche se da due lingue diverse) e come tali, probabilmente, percepiti come "colti" dai parlanti dell'inglese. Un altro fattore è certamente il fatto che ego- funziona comunque già come prefissoide; in inglese appare ad esempio in egocentric, egoistic, egomaniac, tutte parole che hanno lo stesso significato che in italiano, ma ho scoperto anche la parola egosurfing, che indica il navigare su Internet alla ricerca di informazioni su sé stessi. Come si vede in tutte queste parole, come in italiano, ego- contiene anche una sfumatura di eccessiva, se non patologica, attenzione alla propria personalità, e non è escluso che la cosa non si applichi anche ai proprietari di ego-sei, che non devono certo brillare per modestia e senso della misura.

giovedì 11 aprile 2013

Le "arie"


Oggi si svolge la votazione on-line indetta dal Movimento 5 stelle per il candidato alla presidenza della Repubblica, che sui giornali e sui mezzi di comunicazione on-line è già stata battezzata quirinarie. E' solo l'ultimo esempio dell'uso di un nuovo suffisso che la smania di consultare "il popolo" (preferibilmente di Internet) su tutto ha fatto nascere. Lo scorso dicembre lo stesso M5S ha organizzato le parlamentarie per i propri candidati alla Camera e al Senato, e ancora prima aveva organizzato delle comunarie (o sindacarie), etc. Naturalmente, quando parlo di "nascita di un suffisso", esagero un po', il suffisso -ario esisteva già in italiano, e ancora prima in latino, principalmente per formare aggettivi di relazione a partire da nomi, ed è la forma dotta del suffisso -aio (o -aro in alcune varietà regionali). Nei casi citati, però, si è avuta un'estensione del suffisso, che in questo caso forma nomi che possono essere solo al femminile plurale e che significano, a grandi linee 'scelta tramite votazione di uno o più candidati ad un'elezione per una carica pubblica'. Perché il femminile plurale è chiaro: tutte queste parole sono calcate su primarie, che a sua volta è una contrazione dell'espressione elezioni primarie (perché poi in italiano, e anche in altre lingue, nel significato di 'votazione con cui si eleggono le persone che devono rappresentare una collettività o ricoprire una carica' - come dice il Grande dizionario italiano dell'uso - elezioni possa essere usato solo al plurale è un'altra questione, che non tratto qui). A sua volta, ho la quasi certezza che questa espressione sia un calco dell'inglese primary election. Le elezioni primarie sono infatti un'istituzione principalmente anglosassone, e soprattutto americana. Apprendo da Wikipedia che le prime sono state organizzate dal Partito Democratico (americano) nel 1847, e le prime in Italia dall'allora Unione di centrosinistra nel 2005. Ma veniamo alla nascita e alla diffusione del suffisso. Estrapolare dalla parola-modello uno schema per costruirne di nuove è abbastanza naturale, visto che essa stessa contiene un suffisso. Anche il passo da primarie a parlamentarie è breve, visto che per quest'ultima parola esiste già un quasi omonimo che è parlamentare. Le parlamentarie sono perciò le elezioni con cui si designano i candidati ad essere parlamentari (con magari una rianalisi di primarie come le elezioni per designare il candidato a premier?). Una volta che le parlamentarie sono state indette e che la nuova parola era stata creata, la via per la nascita di altre -arie era aperta. Oltre a quelle citate, ho trovato diversi altri esempi, spesso scherzosi, su Internet. Intanto, Beppe Grillo ha definito le primarie del PD delle buffonarie, per sottolineare il fatto che le uniche primarie serie  erano quelle del suo movimento, mentre lo stesso PD ironizzava sul suo sito Web sulle berlusconarie, ossia la "scelta" o meglio l'imposizione del candidato premier del PDL. Con lo stesso spirito, quello di sminuire le elezioni primarie di un partito utilizzando il nome del suo leader, ho trovato anche le bersanarie, le grillarie e le dipietrarie, ma ho trovato anche le presidentarie, le camerarie e le senatarie. Per tornare un attimo alle quirinarie, quello che distingue questa parola dalle altre è il fatto che qui la base (Quirinale) è troncata. Ci sono, mi sembra, due ragioni per questo: da una parte, la porzione eliminata (-ale) ha anche lei la forma di un suffisso, e dall'altra si sa che le lingue sono refrattarie alle sequenze troppo lunghe di suoni identici o simili (e quindi alle troppe r e l che ci sarebbero in quirinalarie). 
Un'ultima osservazione per finire: in tutti i casi citati, quelli scherzosi e quelli no, si tratta di parole che non hanno una vera necessità funzionale nella lingua. Per tutte le elezioni (vere o presunte) in questione si sarebbe potuto semplicemente parlare delle "primarie per il Quirinale" o "per il Parlamento". Ma il fatto di avere una parola specifica per ogni fenomeno anche minuscolo, soprattutto in politica, è, secondo me, uno degli elementi che la lingua dei giornali ha trasmesso alla comunicazione quotidiana e che si sta diffondendo in maniera esponenziale attraverso Internet. In questo caso, da una parte c'è senza dubbio la ricerca della brevità e della formula concentrata, e dall'altra c'è il desiderio di avere un nomignolo, una denominazione arguta e divertente che si manifesta anche in altri casi

sabato 6 aprile 2013

-leaks

Un paio di post fa ho citato lo scandalo Vatileaks parlando del prefisso emergente Vati-, questa volta mi occupo dell'altra metà. Parallelamente allo scandalo dell'ormai ex ministro del bilancio francese, Jérôme Cahuzac, che aveva tenuto nascosto il suo conto in Svizzera, sono emerse diverse informazioni giornalistiche, non solo relative alla Francia, sui paradisi fiscali per le quali la stampa ha coniato il termine di "scandalo Offshoreleaks". -leaks sembra quindi stia diventando l'erede di -gate, un nuovo suffisso per indicare uno scandalo. Chissà perché gli scandali, di preferenza politico-finanziari, sono spesso fonte di nuovi suffissi (in Italia, nel nostro piccolo, abbiamo avuto il -poli di Tangentopoli). Il motivo principale, probabilmente, è il fatto che in genere si tratta di notizie che hanno grande impatto giornalistico, e che i giornali sono sempre alla ricerca di soluzioni linguistiche inedite e che facciano presa sul pubblico. Alla base di tutti i suffissi che si riferiscono a degli scandali c'è, ovviamente, il Watergate, mentre all'origine di -leaks c'è Wikileaks, il discusso sito dedito alla diffusione di materiale riservato. La particolarità di questo suffisso è perciò di aggiungere al senso di 'scandalo' una sfumatura che si potrebbe parafrasare come 'scandalo la cui diffusione ha avuto luogo tramite una fuga di notizie sui giornali', anche se a me sembra che questa sfumatura si stia perdendo a favore di un più generico 'scandalo'. In inglese to leak è un verbo che significa 'colare', e news leak sta per 'fuga di notizie'. Naturalmente, il suffisso è attivo tanto in italiano che in altre lingue. Cercando a caso su Internet ho ad esempio trovato Brussellsleaks (per un sito che diffonde notizie sulle istituzioni europee), nazileaks (un sito che fornisce liste di membri del partito neonazista tedesco), bankleaks o Obamaleaks. In italiano c'è da notare, innanzitutto, che leaks è diventato un sostantivo autonomo che può significare "fuga di notizie" (come qui o qui), e anche al singolare (con la tipica perdita di trasparenza del suffisso plurale inglese, come in questa pagina dove si legge "Indubbiamente è stato il leaks più falso ma più originale e simpatico"). Tra i neologismi italiani in cui -leaks funziona come suffisso, invece, ho trovato diversi casi in cui si lega a nomi di personaggi o organizzazioni, come Berluleaks, Grilloleaks, Renzileaks e PD-leaks, ma anche altri usi, come Milanoleaks, Sirialeaks  e Caymanleaks (nome alternativo, apparentemente, dato allo scandalo Offshoreleaks).

martedì 19 marzo 2013

bergogl...



Appena eletto, il nuovo papa ha già cominciato a sbaragliare la concorrenza. Oggi, se si cerca la parola "francesco" su Google, delle prime 3 pagine di risultati (30 pagine totali), 25 sono per lui, 3 per il suo illustre predecessore di Assisi, una è la pagina relativa al nome proprio su Wikipedia, e una è quella di un negozio di scarpe (che gioirà di avere depositato il dominio omonimo...). Intanto, abbiamo capito che bisogna chiamarlo semplicemente Francesco e non Francesco I, "svista" in cui è incappata anche la radio vaticana. All'indomani dell'elezione ho cominciato a 'monitorare' su Internet l'apparizione di parole derivate dal nome dell'ex cardinale Bergoglio, che prima era assai poco conosciuto in Italia. L'aggettivo bergogliano è comparso quasi immediatamente: la prima attestazione risale al giorno dopo l'elezione (è qui, bisogna guardare nei commenti). In spagnolo, ovviamente, la stessa parola è già molto più diffusa. Sempre il 14 marzo, il giornalista Luca Telese ha lanciato un tweet chiedendosi "Come si dirà? Bergoglista?", che ha, ovviamente, dato vita a una serie di risposte da parte di vari 'cinguettatori' (o, se preferite, twitterologi), che hanno, tra le altre cose, fatto alcune proposte, tra il serio e il faceto. (E' sempre divertente vedere come nella pratica metalinguistica sia radicata l'idea che la "parola giusta" esiste e che occorre cercarla). C'è chi propone bergogliano, naturalmente, chi franceschista, chi - meno seriamente - bergoglione. E c'è, infine, chi propone bergoglioso, parola macedonia, che sfrutta la somiglianza di Bergoglio con orgoglio. Ecco una stima della produttività del nome Bergoglio in italiano ad oggi: bergogliano: 7, bergoglista: 4, bergoglioso: 5. Aggiornamenti nelle prossime settimane.

venerdì 8 marzo 2013

Vati-

Nell'aggiornarci sull'imminente comunicazione della data del conclave, la Repubblica di oggi presentava una galleria di foto sulla giornata di oggi in Vaticano con la dicitura Vatipics. E' possibile che il prefissoide Vati- sia in via di sviluppo e da tenere d'occhio. Il primo uso di questo elemento mi sembra debba essere fatto risalire allo scandalo Vatileaks. Wikipedia ne attribuisce la paternità al direttore della sala stampa della Santa Sede, Federico Lombardi. Il nome è chiaramente calcato su Wikileaks, il noto sito dedito alla diffusione di materiali riservati, e fa riferimento al fatto che lo scandalo che ha colpito il Vaticano è iniziato con la fuoriuscita di documenti segreti. Anche dal punto di vista formale, la parola Vatipics (mi sembra di capire che quella di oggi sia la prima attestazione) riprende Vatileaks. Sono quindi andato alla ricerca di altre parole in Vati-, per verificare la potenzialità del prefissoide. Formalmente, due sillabe che finiscono per vocale, come prefissoide è perfetto, ed è stato creato secondo lo stesso schema di diversi altri che sono oggi diffusi in italiano come pala-, petro-, ma anche euro-. Innanzitutto, cosa non troppo sorprendente, il Vatileaks è stato chiamato anche (non solo in italiano) Vatigate (sul suffissoide -gate ho già scritto nel post precedente). E soprattutto, ho scoperto che Vati- può essere usato (per ora occasionalmente, a dire il vero) davanti ad altre parole, non necessariamente di origine inglese. Ad esempio, il sito dell'Unione Cristiani Cattolici Razionali definisce (polemicamente) vati-laicisti, se ho capito bene, i vaticanisti di alcuni giornali dichiaratamente laici, e ho trovato una definizione dello Ior come vati-banca. In quest'ultimo caso, però, si tratta di una traduzione letterale dallo spagnolo vati-banco, che è decisamente più frequente. In lingue diverse dall'italiano, infatti, si trova qualche altro esempio di Vati- usato come prefissoide, ad esempio Vati-scandal, in inglese, sempre per il Vatileaks, e, in tedesco Vati-euros, mi sembra (per quanto mi consente di capire la mia competenza del tedesco), tuttavia, non con un senso polemico, ma per riferirsi veramente agli euro vaticani, certamente una rarità per i numismatici.

sabato 16 febbraio 2013

Horsegate

Il recente scandalo della carne di cavallo nelle lasagne surgelate ha fatto nascere una nuova parola in -gate. Il suffissoide, come si sa, è nato all'inizio degli anni '70 dalla segmentazione del nome del famosissimo scandalo, il Watergate, che portò alle dimissioni di Nixon. Anche in italiano il suffisso è discretamente produttivo, basti pensare all'Aquilagate o al Rubygate. La parola horsegate, che pure è stata usata anche in italiano, l'ho trovata per la prima volta su alcuni giornali francesi, il che è normale, visto che è dalla Francia che è transitata la carne di cavallo che è stata fatta passare per manzo. Purtroppo, finora l'ho vista solo allo scritto, quindi ignoro come in francese pronuncerebbe la parola, che mi sembra porre grossi problemi per la fonologia di questa lingua. Guardando su Google ho anche l'impressione che la parola sia usata più in francese che in inglese, forse anche perché in Gran Bretagna c'è già stato un altro horsegate, nel 2012, quando il primo ministro Cameron ha ammesso di aver cavalcato un cavallo prestato da Scotland Yard al magnate dell'informazione Rupert Murdoch. Un caso di uso più vicino al senso originario che, come in Watergate, rimanda a uno scandalo politico. Ho poi cercato e scoperto anche altre denominazioni: in francese sono usati anche l'ibrido chevalgate, Findusgate (dal nome della prima marca di surgelati coinvolta) e lasagnegate o lasagnesgate (mentre in inglese lasagnagate si riferisce ad un intossicazione alimentare che ha colpito i giocatori della squadra del Tottenham Hotspur nel 2006 alla vigilia di una partita decisiva per il campionato).

sabato 9 febbraio 2013

Twitterologo

Recentemente mi sono imbattuto nella parola twitterologo (che esiste anche nella variante twittologo) che, a giudicare dai contesti che ho trovato, indica semplicemente qualcuno che twitta, ossia usa Twitter, regolarmente. Personalmente, li avrei chiamati semplicemente twittatori, e infatti ci sono, su Google, oltre 8.000 esempi di questa parola, a fronte di poco più di 1.500 twittologo e circa 250 twitterologo. Non mi stupisce però il fatto che twitt(er)ologo, malgrado il suffissoide -logo possa voler dire semplicemente twittatore, senza nessun riferimento allo studio, o al fatto di essere esperti di Twitter. Se ne stupisce, invece, l'autrice del blog Terminologia, etc., che vede in questa parola un esempio dell'uso improprio del lessico che viene fatto nei media italiani. Innanzitutto, le attestazioni di twitt(er)ologo nei giornali sono piuttosto rare, e tutte piuttosto recenti (una del 2011 e due - qui e qui - del 2012). Se però andiamo a cercare alla fonte (ossia direttamente su Twitter) troviamo numerosi esempi di twittatori che definiscono se stessi o i loro colleghi twitt(er)ologi. La prima attestazione che ho trovato è del 2007 (Twitter è nato nel 2006). Certo, in alcuni casi il contesto è ambiguo, come quando qualcuno si definisce "un twitterologo con conoscenze scarse del 2.0", o addirittura chiama chiaramente in causa il senso di 'esperto', come quando un utente consiglia ad un altro di studiare "da un twitterologo, la differenza tra un 'twit' e un 'twerp'" (confesso di ignorare cosa siano...). Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi un twitt(er)ologo è davvero semplicemente un twittatore. E' da tempo che cerco di convincere i miei colleghi linguisti e gli altri che molti dei suffissoidi usati oggi in italiano (e nelle altre lingue) hanno perso il loro significato originario (latino e/o greco) e sono usati semplicemente come elementi relazionali. Un po' di tempo fa, su Internet, ho risposto a un quiz che invitava a mettere alla prova le conoscenze "cinefile" degli utenti, e più recentemente mi sono imbattuto nel neologismo pentolifero, in una frase il cui contesto indica chiaramente che è un sinonimo di culinario. In nessuno dei due casi, mi sembra, è necessario mobilitare il senso di 'amare' e 'portare' per capire il senso della parola. Per tornare al suffissoide -logo, a me sembra chiarissimo che, ad esempio, metodologico significa semplicemente 'relativo al metodo' e che, sempre più spesso, meteorologico significa 'relativo al tempo' e non 'relativo alla scienza del tempo' (tra i primi contesti su Google si trovano, ad esempio, "inverno meteorologico", "tempo meteorologico", "andamento meteorologico"). E, guarda caso, è lo stesso per le poche attestazioni di twitterologico che si trovano, dove si parla di "attesa twitterologica" per un avvenimento o di "classifiche twitterologiche".

domenica 3 febbraio 2013

-ellum: aggiornamento

Dopo aver finito di scrivere il post precedente, ho scoperto per caso che la legge elettorale della Toscana è chiamata, con una buona dose di ironia, il cinghialum. Mi sono reso conto, allora, che, focalizzandomi sui nomi dei politici come basi potenziali per derivati in -ellum, avevo sottovalutato perlomeno un aspetto, che è la connotazione negativa che il termine porcellum si porta dietro (che, se era presente, era assai meno forte nel prototipo mattarellum). Così, con una rapida ricerca su Internet ho scoperto un certo numero di -ellum, perlopiù dispregiativi, costruiti su nomi di animali, in particolare simili al maiale, come maialum, suinum (o suinellum), scrofellum, ma anche sciacallum. Ho trovato anche un buon numero di -ellum che hanno unicamente un intento dispregiativo, con basi che evocano già di per sé idee negative, e guarda caso in molti casi la base termina già in -ello: bordellum, macellum, pasticcium, pastrocchium, sfracellum, truffellum (o truffarellum).

venerdì 1 febbraio 2013

-ellum


Approfittando di un articolo del direttore di Radici Rocco Femia a proposito della legge elettorale ho appena pubblicato sul blog del giornale un post sulla parola porcellum e sul suffisso relativo che è un aggiornamento di quello che avevo già scritto cinque anni fa sull'argomento, nel periodo in cui veniva proposta (lo avevo dimenticato) una delle tanti variazioni alla legge stessa che, in onore dell'allora segretario del Pd, era stata chiamata veltronellum. In quel post avevo identificato gli elementi principali di questo nuovo tipo di costruzione in italiano, di cui è difficile prevedere il successo a lungo termine e la durata ma che per ora sembra avere una certa produttività. Certo, ci sarebbe da sperare che la politica italiana non fosse interamente incentrata sul sistema elettorale, che dovrebbe rimanere un dettaglio tecnico appannaggio di qualche specialista di diritto. Fatto sta, però, che è così, e che questo ha permesso la nascita, nella nostra lingua, di un suffisso dal significato tanto specifico da designare non soltanto una legge, ma addirittura una legge elettorale. Con buona pace di chi vorrebbe restringere il novero dei significati che possono essere espressi da una costruzione lessicale a poche istruzioni semantiche generali valide per tutte le lingue a livello universale… 

Nel post di cinque anni fa avevo già identificato la genesi, la diffusione e le caratteristiche principali dei nomi di leggi in -ellum. Dal punto di vista puramente linguistico, le principali restrizioni che pesano su questi derivati sono il fatto di avere il nome di un politico come base (anche se esiste qualche eccezione), e, in virtù del prototipo che è mattarellum, di avere quattro sillabe e finire per -ellum. Come è normale per formazioni di questo tipo, il risultato finale è il meglio che si può fare per rispettare le restrizioni qui sopra a partire da una certa base. Ad esempio, se in un nome sono già presenti due l si può transigere sulle quattro sillabe (mastellum, porcellum, gli esempi sono quelli del 2007), se invece un nome ha già quattro sillabe si può rinunciare alle due l (ma ovviamente non a -um: calderolum, berlusconum), altrimenti si prende la base e si aggiunge -ellum. In cinque anni il suffisso non ha avuto una produttività enorme (i nomi di leggi elettorali concepibili non sono poi infiniti), ma, rispetto ai nomi di cinque anni fa sono riuscito comunque ad ampliare il campionario, e tutti gli esempi confermano le osservazioni che avevo fatto allora. Tra le novità che ho trovato, ci sono, ovviamente, quelle costruite sui nomi di politici, bersanellum, casinellum, montellum, napolitanum, scilipotum, dipietrellum, ingroiellum, prodellum, rutellum; ma anche regionellum e comunellum (o sindachellum) per le elezioni, rispettivamente, regionali e comunali, e infine pidellum, dal nome del PD e carroccellum per la Lega Nord.